Europe Jazz Network, Regione Emilia-Romagna
Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura, Comune di Rimini Assessorato alla Cultura
Comune di Imola Assessorato alla Cultura, Comune di Russi - Teatro Comunale, Fondazione Teatro Rossini di Lugo
Comune di Castel San Pietro Terme Assessorato alla Cultura, Comune di San Lazzaro di Savena Assessorato alla Cultura
Comune di Savignano sul Rubicone - Teatro Moderno, Comune di Massa Lombarda Assessorato alla Cultura
Invito in Provincia, Comune di Malalbergo Assessorato alla Cultura e Assessorato alle Pari Opportunità
Comune di Minerbio Assessorato alla Cultura, Comune di Pieve di Cento Assessorato alla Cultura
Comune di Cesenatico Assessorato alla Cultura, Associazione Sonia Jazz, Comune di Fiorenzuola d’Arda Assessorato alla Cultura
Comune di Faenza Assessorato alla Cultura, Combo Jazz Club di Imola
Comune di Dozza Assessorato alla Cultura, Compagnia Teatrale della Luna Crescente
Comune di Correggio, Ater, Comune di Longiano - Teatro Petrella, Piacenza Jazz Club, Modena Jazz Club
Il Gruppo Libero - Teatro San Martino Bologna, Museo Carlo Zauli di Faenza, La Galera Enoteca di Correggio
Pro Helvetia, CCS Centro Culturale Svizzero
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
* * * SCHEDE ARTISTI * * *
Giovedì 24 febbraio Su disco ammalia, dal vivo travolge letteralmente: Dee Dee Bridgewater è una delle ultime vere regine del canto jazz, forse l’ultima, un’interprete di rara versatilità, sensibile e all’occorrenza sensuale e grintosa, capace di fare proprie con impareggiabile classe melodie senza tempo, attinte dal mondo del jazz propriamente inteso come da altri repertori. “J'ai deux amours…”, che è anche il titolo del nuovissimo album della cantante originaria di Memphis è, infatti, un viaggio sincero e appassionato tra alcune delle più seducenti pagine della canzone francese: dall’immancabile “Le vie en rose” a “Dansez sur moi” di Claude Nougaro, da un altro classico come “Les Feuilles Mortes” (con testo di Jacques Prevert) a “La mer” e “Que reste-t-il de nous amour” di Charles Trenet, da “Ne me quitte pas” di Jacques Brel a “La belle vie” del recentemente scomparso Sacha Distel, al quale il disco è dedicato. “J'ai deux amours…” è davvero un atto d’amore, così come lo sono stati in passato gli omaggi alla musica di Horace Silver (Love And Peace: A Tribute To Horace Silver) e di Kurt Weill (This Is New), nonché quello alla voce di Ella Fitzgerald (Dear Ella), uno dei modelli naturali di Dee Dee Bridgewater. Giovedì 3 marzo Cantante magnetica, raffinata ed estrosa polistrumentista (suona pianoforte, fisarmonica, chitarra, ukulele, claviola, xilofono, percussioni), nonché creativa compositrice, Rachelle Garniez è una delle presenze più accattivanti della scena downtown newyorkese. Rachelle riesce a miscelare in maniera del tutto particolare jazz, blues, country, ska, klezmer, latin e mille altri generi musicali. Oltre che con numerose esibizioni in qualità di leader o sidewoman (collaborazioni con Dave Hofstra, Phillip Johnston, Joe Ruddick, Lori Carson), è attiva su numerosi fronti: colonne sonore per film (“The Opportunists” con Christopher Walken e Cyndi Lauper, “Chain of Desire” con Malcolm McDowell e Betty Anderson, “Rave” con Nicole Thom), musica per danza (con la coreografa Keely Garfield, per la quale tra l'altro ha musicato, assieme a Marc Ribot, l'ultima produzione "Disturbulance & Scent of Mental Love"), musica per teatro (sue le composizioni, pure eseguite dal vivo, nelle produzioni del Chelsea Bacon’s Breaker e del pluripremiato Grumbling Gryphons Travelling Children’s Theater, come in “Pink 88”, pièce di teatro da strada a firma di Laraine Goodman). Nel 1996 ha fondato il gruppo The Fortunate Few con cui ha inciso, per la propria etichetta Real Cool Records, Serenade City (1998), Crazy Blood (2001) e Luckyday (2003). Venerdì 4 marzo All Ears è una formazione euroamericana che da qualche tempo sta facendo parlare molto bene di sé nell’ambito della rinnovata scena internazionale della free music. Il gruppo è il frutto dalla sinergia tra il sassofonista Frans Vermeerssen e il pianista Michiel Braam, entrambi olandesi, che hanno dapprima coinvolto il contrabbassista connazionale Wilbert De Joode e il batterista americano Michael Vatcher. Il successivo arrivo del trombettista Herb Robertson, anch’egli statunitense e noto per le sue collaborazioni con Bill Frisell, John Zorn, Tim Berne e tanti altri, e del sassofonista tedesco Frank Gratkowski ha portato all’attuale configurazione a sestetto. Nella musica degli All Ears improvvisazioni furiose, ma lontane da certi dogmi del free e ben inserite nel disegno compositivo dei due leader, si combinano con un eccellente virtuosismo strumentale. Il che contraddistingue anche la proposta del sassofonista Carlo Actis Dato, performer dalla contagiosa carica comunicativa e dalla graffiante ironia, sin dagli anni Settanta uomo di punta del più avanzato jazz italiano. Fondatore dello storico Art Studio e leader di propri gruppi, il musicista piemontese è componente della Italian Instabile Orchestra. Sabato 5 marzo Una voce dalle variegate sfumature, che si nutre naturalmente di ingredienti sonori diversi. Una presenza scenica dal forte temperamento teatrale. Una voglia di comunicare attraverso molteplici linguaggi musicali. Tutto ciò ha contribuito a fare di Cristina Zavalloni non solo una cantante dalle vastissime risorse espressive, ma soprattutto un’artista completa, di indubbia caratura internazionale. La vocalist bolognese calca ormai d’abitudine sia i palcoscenici della musica contemporanea (per lei hanno scritto compositori del calibro dell’olandese Louis Andriessen e dell’inglese Michael Nyman) che quelli del jazz (ha avuto modo di collaborare con George Russell, Steve Coleman, Han Bennink, Uri Caine e altri). L’Open Quartet è la creatura di Cristina Zavalloni più prossima al versante improvvisativo di derivazione jazzistica. Un organico per l’appunto aperto, che asseconda al meglio la leader nelle sue spericolate evoluzioni, nel suo tramutarsi da voce solista in voce dalle mille voci. Domenica 6 marzo Nato nel 1960 a Wilmington, nel Delaware, Matthew Shipp suona il pianoforte sin dall’infanzia e ha alle spalle studi all’Università del Delaware, al Berklee College of Music e al New England Conservatory of Music di Boston. La sua attività musicale, iniziata negli anni Ottanta, si è snodata per tutto il decennio successivo grazie a collaborazioni con altri uomini delle avanguardie neroamericane, di cui oggi Shipp può considerarsi a pieno titolo uno degli esponenti di maggior spicco. Attualmente direttore artistico della collana jazz (la Blue Series) della Thirsty Ear, ruolo che gli permette di sperimentare stimolanti incontri sonori, anche con l’elettronica e l’hip hop, Shipp si è distinto all’interno del quartetto del sassofonista David S. Ware e della Note Factory di Roscoe Mitchell, oltre che con numerose incisioni a proprio nome, la più recente delle quali, Harmony And Abyss, lo vede affiancato da William Parker e da Gerald Cleaver, suoi partner ideali. Martedì 8 marzo “La pianista Lynne Arriale merita a buon diritto di stare sullo stesso piano di Brad Mehldau e di Jacky Terrasson, come una delle voci più nuove e vitali sulla scena del jazz”: è questo il giudizio pubblicato dal Times di Londra dopo l’ultimo concerto tenuto nella capitale britannica dalla Arriale alla testa del suo trio. Dall’altra parte dell’oceano, il New York Times gli fa eco proclamando che “la sua brillante abilità di musicista e i suoi istinti da palcoscenico ne fanno uno dei migliori pianisti jazz sulla scena mondiale”. Compositrice sopraffina, artista dal tocco magistrale e dal fraseggio fluente, che si può dire incarni la summa del pianismo moderno, classico e jazzistico, Lynne Arriale ha iniziato a suonare il pianoforte a quattro anni, per diplomarsi al Wisconsin Conservatory of Music prima di dedicarsi al jazz, che oggi insegna in alcune delle più note università. Capace di muoversi su coordinate aperte, ma insieme basate su di una solida esperienza e una profonda conoscenza storica, in poco più di dieci anni Lynne Arriale ha percorso una notevole carriera, scandita da numerosi riconoscimenti internazionali e da incisioni discografiche di valore. Giovedì 10 marzo Il più internazionale dei jazzisti di casa nostra ha anche un altro dono: l’innato fiuto per scoprire e valorizzare i giovani talenti. Bastino come esempi il batterista Mauro Beggio, che poco più che teenager suonò con il trombettista triestino negli anni Ottanta, e Stefano Bollani, oggi popolarissimo anche ben oltre il mondo del jazz. Ora tocca agli Under 21, quattro ventenni che Enrico Rava ha scovato qua e là per l’Italia e che insieme formano da poco un gruppo che sta già facendo parlare di sé. Tutti hanno alle spalle studi qualificati: Francesco Bigoni, da Ferrara, ha seguito workshop con Steve Lacy e Andy Sheppard, ha frequentato più volte i meritori seminari di Siena Jazz ed è allievo di Claudio Fasoli; Giovanni Guidi, da Foligno, ha intrapreso gli studi classici per poi avvicinarsi al jazz grazie soprattutto a Danilo Rea e a Rita Marcotulli; i bresciani Corini e Maniscalco provengono anch’essi dalle formative esperienze di Siena Jazz. E tutti nutrono una grande passione per una musica che saprà certo regalar loro meritate soddisfazioni. Venerdì 11 marzo La cantante Cecilia Finotti inizia a coltivare la musica classica in giovane età studiando pianoforte. Poi si avvicina al jazz, anche grazie al padre, musicista per diletto, contrabbassista e vibrafonista della storica Doctor Dixie Jazz Band. Nel 1996 Cecilia frequenta le clinics del Berklee College of Music di Boston, nell’ambito di Umbria Jazz, e in seguito partecipa a seminari della britannica Norma Winstone e di Maria Pia De Vito. Il suo esordio discografico risale al 1999, A Flower Is A Lonesome Thing, raccolta di famosi standard del jazz a cui ha preso parte il sassofonista Maurizio Giammarco. Il suo secondo, recentissimo album Nevermore ne mette in piena luce le considerevoli doti interpretative e compositive. Registrato con il contributo di ottimi musicisti, tra i più ricercati sia in ambito jazz che pop, Nevermore comprende dieci brani originali ed è un disco a più facce, nel quale sono confluiti l’amore per le grandi voci del jazz, e in generale per tutti i grandi maestri di questa musica, nonché per la migliore canzone d’autore nordamericana e per il pop più sofisticato, spruzzato di elettronica. Domenica 13 marzo Il sassofonista romano rende omaggio a Charlie Parker, di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della scomparsa, così come ha fatto nel suo recente album per la Blue Note, storico marchio discografico per il quale il musicista italiano incide dal 1998. Stefano Di Battista è, peraltro, uno dei sassofonisti che oggi meglio incarnano lo spirito parkeriano, nel solco di quegli stilemi boppistici che hanno resistito tenacemente all’incedere degli stili e del tempo. Accanto al leader figurano altri solisti di provato valore, ad iniziare dal batterista Dedé Ceccarelli, fiore all’occhiello del jazz transalpino e per anni assiduo partner di Dee Dee Bridgewater. Completano il quartetto il contrabbassista Rosario Bonaccorso, membro stabile del quintetto di Enrico Rava, e il pianista belga Eric Legnini, noto anche per la sua collaborazione con un altro jazzista italiano formato esportazione, il trombettista Flavio Boltro. Martedì 15 marzo Due vocalità a confronto, quella sperimentale di John De Leo e quella di impronta tradizionale di Sevara Nazarkhan. Il primo è coinvolto in “Monster”, performance multimediale che parte da un racconto di Richard Matheson, maestro della letteratura fantascientifica, e che vede coinvolta l’affiatata coppia jazzistica formata dal trombonista Gianluca Petrella e dal contrabbassista Furio Di Castri, entrambi anche esperti alchimisti elettronici; tutt’altro che un contorno, le manipolazioni grafiche di Massimo Ottoni. “Monster” è un vero progetto trasversale, dove la musica non è tappezzeria, il testo non è un pretesto, la visual art non è arredamento. Mercoledì 16 marzo I Medicine Wheel, il cui nome si ricollega alla simbologia dei nativi americani, rappresentano una delle tante facce dell’intensa attività di musicista e progettista del contrabbassista Ben Allison, uno dei fondatori del Jazz Composers Collective, realtà associativa tra le più rappresentative della multiforme scena newyorkese. Tra i migliori specialisti del suo strumento oggi in circolazione, Allison appartiene a quella genia di musicisti che hanno saputo trarre dalla tradizione del jazz preziosi insegnamenti, ma che nel contempo si esprimono con un linguaggio proteso verso il futuro. Nei Medicine Wheel gli sono accanto altri solisti di vaglia, a cominciare dal pianista Frank Kimbrough, assieme al quale Allison ha dato vita allo stesso Jazz Composers Collective e ad un’altra pregevole formazione, l’Herbie Nichols Project. Ottima è la front line con i due sassofonisti Michael Blake, già con i Lounge Lizards di John Lurie, e Jimmy Greene, sideman tra i più richiesti. E a completare il tandem ritmico c’è Michael Sarin, assiduo partner anche di Tim Berne, John Zorn e Dave Douglas. Giovedì 17 marzo Elle è il titolo dell’album più recente della brava cantante milanese Lucia Minetti: una raccolta di celebri standard (da “Over The Rainbow” a “Smoke Gets In Your Eyes”, da “My Funny Valentine” al gershwiniano “I Loves You Porgy”, da “September Song” di Kurt Weill a “You Go To My Head”) interpretati con classe e un tocco di sensualità da una voce che si trova a proprio agio sia alle prese con composizioni di autori colti che, appunto, con pagine di impronta jazzistica. Nel disco, Lucia Minetti ha al proprio fianco Giorgio Gaslini, uno dei suoi maestri, colui che ha saputo esaltare il talento di un’interprete sempre alla ricerca di nuovi materiali musicali con i quali confrontarsi. Dal vivo, Lucia Minetti – che annovera anche sodalizi con Gianni Coscia, Claudio Fasoli, Carlo Boccadoro, Paolo Conte e Mauro Pagani – è invece coadiuvata da Andrea Zani, pianista con il quale la duttile vocalist collabora abitualmente. Venerdì 18 marzo Impostosi nel 2000 nel “Top Jazz” del mensile Musica Jazz come miglior nuovo talento italiano, Rosario Giuliani si è anche fatto onore suonando con i migliori solisti italiani (Enrico Rava, Franco D’Andrea, Enrico Pieranunzi, Roberto Gatto) e americani (Michael Brecker, Bob Mintzer, Cedar Walton, Phil Woods). Non è dunque un caso che dal 2002 incida regolarmente per l’etichetta francese Dreyfus, per la quale sono usciti fino ad oggi tre album del musicista di Terracina: Luggage, Mr. Dodo e il recente More Than Ever, nel quale è presente come ospite il fisarmonicista Richard Galliano. Strumentista dalla tecnica invidiabile, Giuliani eccelle soprattutto al sax contralto, rivelando schietti influssi parkeriani, dimostrando altresì di aver inglobato le lezioni di Cannonball Adderley e di Art Pepper, ma anche quella di John Coltrane. Giuliani è perciò un jazzista a tutto tondo, dal fraseggio fluido e tornito, in grado di lanciarsi in travolgenti cavalcate solistiche. Lunedì 21 marzo Quintetto, quattro sax più percussioni, tutto al femminile, proveniente da Seattle. In origine si chiamava Billy Tipton Memorial Saxophone Quartet, in omaggio alla sassofonista e pianista Dorothy Lucile Tipton, alias Billy Tipton, che per farsi largo nel mondo maschile del jazz fu costretta a mutare il proprio nome e a travestirsi da uomo: la sua vera identità fu rivelata solo dopo la morte, avvenuta quando aveva 74 anni, oltre 50 dei quali passati a suonare soprattutto in big band. Le Tiptons agiscono invece allo scoperto e, sotto la guida di Jessica Lurie, sono autrici e interpreti di un avvincente mix sonoro che attinge al jazz di New Orleans come alla tradizione klezmer e persino all’hip hop. Lo si potrebbe definire un gruppo post-jazz, ma le etichette lasciano sempre il tempo che trovano. Ciò che più importa è che le Tiptons propongono una musica effervescente come poche altre e di grande impatto comunicativo. Martedì 22 marzo Quintetto, quattro sax più percussioni, tutto al femminile, proveniente da Seattle. In origine si chiamava Billy Tipton Memorial Saxophone Quartet, in omaggio alla sassofonista e pianista Dorothy Lucile Tipton, alias Billy Tipton, che per farsi largo nel mondo maschile del jazz fu costretta a mutare il proprio nome e a travestirsi da uomo: la sua vera identità fu rivelata solo dopo la morte, avvenuta quando aveva 74 anni, oltre 50 dei quali passati a suonare soprattutto in big band. Le Tiptons agiscono invece allo scoperto e, sotto la guida di Jessica Lurie, sono autrici e interpreti di un avvincente mix sonoro che attinge al jazz di New Orleans come alla tradizione klezmer e persino all’hip hop. Lo si potrebbe definire un gruppo post-jazz, ma le etichette lasciano sempre il tempo che trovano. Ciò che più importa è che le Tiptons propongono una musica effervescente come poche altre e di grande impatto comunicativo. Mercoledì 23 marzo Fondata e nel tempo sempre condotta con mano sicura dal pianista Misha Mengelberg, figura storica del più creativo jazz del Vecchio Continente, l’olandese Instant Composers Pool Orchestra è una delle più originali compagini, non solo a livello europeo. Un collettivo, solido e flessibile al tempo stesso, che sin dai primi anni Settanta pratica una musica che è un sapiente concentrato di improvvisazione e composizione; da qui viene, peraltro, la sua denominazione. Rodatissima nei suoi ingranaggi, la ICP è anche una efficacissima macchina spettacolare, grazie alla straordinaria inventiva dei suoi componenti, tutti fantasiosi solisti, ad iniziare dall’incontenibile batterista Han Bennink, che con Mengelberg condivide sin dalla fine degli anni Sessanta innumerevoli avventure musicali. Ma un’altra delle caratteristiche salienti dell’orchestra sta nel riuscire ad avvicinarsi alla tradizione del jazz (soprattutto la musica di Duke Ellington e di Herbie Nichols) con quello spirito disincantato che dona alle proprie interpretazioni una freschezza fuori dal comune. Giovedì 24 marzo Il pianoforte è al centro di un doppio appuntamento che vede da una parte uno dei più sensibili jazzisti d’Italia, dall’altra un uomo del jazz che appartiene da decenni alla storia di questa musica. Dagli esordi con il Trio di Roma ai recenti successi come componente dei Doctor 3 e, adesso, come solo performer, passando per collaborazioni altolocate (Chet Baker, Lee Konitz, Steve Grossman, Bob Berg, Phil Woods, Michael Brecker, Joe Lovano, Gato Barbieri, ecc.), Danilo Rea ha dimostrato tutto il suo valore di musicista dal tocco elegante e dall’innato gusto melodico. Il nome di McCoy Tyner, invece, rimanda inevitabilmente alla feconda partnership degli anni Sessanta con John Coltrane, di cui il pianista di Filadelfia si può considerare erede spirituale. Di Tyner, il cui stile ritmico e dinamico ha fatto scuola, non va poi dimenticata la fortunata carriera come leader, costellata di incisioni che ogni cultore del piano jazz non può non avere nella propria discoteca, soprattutto quelle degli anni Settanta. Rea e Tyner rappresentano, dunque, due modi diversi di intendere lo stesso strumento, in un rapporto dialogico tra tasti bianchi e neri. Martedì 29 marzo Joe Zawinul è il poeta dei sintetizzatori, colui che forse più e meglio di altri ha saputo trarre grande profitto dalle più moderne e sofisticate tecnologie, imprimendovi a sua volta la propria multiforme visione sonora. Tra i primi a introdurre nel jazz la calda sonorità del piano elettrico, ai tempi del fortunato sodalizio con il sassofonista Cannonball Adderley suggellato dall’hit Mercy, Mercy, Mercy, successivamente chiamato alla corte del divino Miles Davis per offrire il proprio contributo a opere epocali come In A Silent Way e Bitches Brew, Joe Zawinul è stato fondatore, assieme a Wayne Shorter e Miroslav Vitous, dei Weather Report, gruppo che ha letteralmente spalancato nuovi, stimolanti orizzonti. Da sempre attratto da musiche provenienti da ogni angolo del pianeta, il tastierista austriaco si è poi involato per proprio conto, firmando prima il composito affresco Dialects, e poi varando il gruppo Zawinul Syndicate, con cui si accompagna ancora oggi. Tale formazione, periodicamente rinnovata, traduce al meglio il pensiero di un artista che si nutre naturalmente di mille suoni e mille ritmi, riconsegnandoli in una veste inconfondibilmente marchiata dalla sua carismatica personalità. Giovedì 31 marzo Non da oggi George Cables è pianista di classe sopraffina: non è sicuramente un caso che dei suoi servigi musicali si siano avvalsi nel corso del tempo giganti del sassofono come Sonny Rollins, Joe Henderson, Dexter Gordon e Art Pepper, nonché batteristi del calibro di Max Roach e Art Blakey. Rinomato forse più come sideman, grazie alle sue qualità di elegante accompagnatore, Cables è in realtà anche un autorevole leader, capace di guidare con rigore i suoi partner lungo i sicuri sentieri della strada maestra del jazz. Partner d’eccellenza, come lo sono i componenti del suo trio, ovvero il contrabbassista Essiet Okon Essiet e il batterista Victor Lewis, entrambi musicisti dal vastissimo bagaglio di esperienze. Nell’occasione il trio si amplia a quartetto con l’innesto del corposo sax tenore del bolognese Piero Odorici, altro solista che si esprime all’insegna di un calibrato, efficacissimo aggiornamento degli stilemi del be bop, che con Cables e compagni ha già avuto modo di farsi valere. Sabato 2 aprile Due gruppi dalle dimensioni ridotte ma dalle tutt’altro che limitate risorse espressive. Al centro di entrambi, un battitore libero sempre disponibile al dialogo e al confronto ad armi pari, un irresistibile trascinatore ma nello stesso tempo un autentico poeta: Antonello Salis, ovvero uno dei più creativi jazzisti italiani in assoluto. Al suo fianco, nella prima parte della serata, c’è il contrabbassista Furio Di Castri, con il quale Salis condivide da una decina d’anni la felice avventura del PAF Trio, completato da Paolo Fresu. Nella seconda, invece, altri due jazzmen nostrani che amano il gioco di squadra e che hanno trovato in Salis l’ideale interlocutore: i toscani Raffaello Pareti, già compagno del musicista sardo nell’Orchestra del Titanic di Stefano Bollani, e Stefano “Cocco” Cantini. E c’è da essere sicuri che in ogni caso a far da collante saranno la fantasia e la voglia di fare musica fuori dagli schemi. Domenica 3 aprile Flavio Boltro è uno dei numerosi jazzisti italiani che hanno trovato all’estero, specialmente in Francia, l’ambiente ideale per maturare artisticamente e per imporsi sulle scene internazionali. Nel caso del trombettista torinese, fondamentali sono state le esperienze collaborative con il compianto Michel Petrucciani e con l’Orchestre National de Jazz, nell’edizione diretta da Laurent Cugny. Stimatissimo da illustri colleghi di strumento, primo fra tutti Wynton Marsalis che da sempre ne ammira l’eccellente perizia tecnica, Boltro ha all’attivo due album per la Blue Note, Road Runner e 40: entrambi vedono la presenza del pianista belga Eric Legnini, partner abituale, al tempo stesso, del sassofonista romano Stefano Di Battista, con il quale lo stesso Boltro vanta un pluriennale sodalizio. Anch’egli da tempo residente a Parigi, Legnini è pianista dalla naturale eleganza, qualità messa in mostra pure accanto a noti solisti connazionali quali l’armonicista Toots Thielemans e il chitarrista Philip Catherine. Lunedì 4 aprile Una cantante italiana da sempre attratta dalla musica brasiliana. Una cantante brasiliana che porta con naturalezza il peso di un cognome importante. Patrizia Laquidara, originaria di Catania, ha frequentato il CET di Mogol per poi aggiudicarsi il premio speciale della giuria (con “Agisce”) al festival della canzone d’autore di Recanati. Nel frattempo ha inciso un omaggio a Caetano Veloso, Para voce querido cae. Vincitrice al festival di Sanremo del premio della critica intestato a Mia Martini, Patrizia Laquidara ha pubblicato nel 2003 Indirizzo portoghese, realizzato avvalendosi del contributo di Rita Marcotulli, Fausto Mesolella e altri. Martedì 5 aprile Mariana de Moraes porta un cognome davvero importante: infatti, suo nonno era niente meno che il grande Vinicius de Moraes, il "poeta-diplomatico" della bossa nova, complice di Tom Jobim e João Gilberto. Durante l'adolescenza, è il talento precoce di Mariana come attrice a farla conoscere al pubblico brasiliano: dal 1984, sei film, cinque spettacoli teatrali e, com’è naturale nel suo paese, ruoli importanti in molte telenovelas. Nel 1995, finalmente, decide di lavorare con la musica. Numerosi i suoi concerti in Brasile con prestigiosi partner, quali Maria Bethânia, Toquinho, Luiz Melodia e Moreno Veloso. Due album: il primo, un concerto del 1998 con Elton Medeiros - un padrino del samba - e Zé Renato; nel 2000, il primo CD in studio registrato negli Stati Uniti con il pianista Guilherme Vergueiro e il chitarrista Carlos dos Santos, dove Mariana interpreta Tom Jobim, João Donato, Paulinho da Viola e, naturalmente, Vinicius de Moraes. Mariana de Moraes pesca nella miniera di perle della bossa nova (compreso qualche testo inedito del nonno) e non ha uguali nel resuscitare vecchi samba di Rio de Janeiro, distinguendosi per la dolcezza e la forza seduttiva delle sue preziose interpretazioni. Giovedì 7 aprile Javier Girotto è “l’argentino di Roma”: nato a Cordoba, dove ha mosso i primi passi musicali suonando nella banda locale, ha iniziato la sua fortunata avventura italiana agli albori degli anni Novanta, dopo aver frequentato il Berklee College of Music di Boston. Con il proprio variegato bagaglio strumentale, Girotto si è imposto subito per l’originalità del suo stile, una fusione di jazz e tango che ha trovato la rappresentazione più efficace negli Aires Tango, formazione destinata ad un ampio successo. Nel 1999 è nato, quindi, il gruppo Cordoba Reunion, mentre dell’anno dopo sono gli album Javier Girotto Plays Rava e Recordando Piazzolla, quest’ultimo inciso con Daniele Di Bonaventura al bandoneon e un’orchestra classica; l’incontro con Peppe Servillo degli Avion Travel porterà in seguito alla realizzazione de L’amico di Cordoba. Nelle sue solo performance Girotto mette in campo un ampio spettro espressivo, inevitabilmente impreziosito da aromi latini che ben si sposano con una prorompente energia. Sabato 9 aprile A cinque anni ha cominciato lo studio della tromba, sotto la guida del padre, a 15 si è diplomato presso il Conservatorio di Torino, sua città natale, e successivamente ha frequentato corsi di perfezionamento sia in Italia che all’estero: queste sono le tappe formative di Fabrizio Bosso, trombettista dalla formidabile padronanza strumentale che nel 1999, anno del primo album nelle vesti di leader, Fast Flight (Red Records), si è imposto nel “Top Jazz” del mensile Musica Jazz come miglior nuovo talento italiano. Da questo momento in poi, si sono susseguite innumerevoli collaborazioni che hanno proiettato Bosso nel novero dei musicisti più corteggiati, non solamente in ambito jazzistico. Profondamente ancorato alla moderna tradizione jazz del suo strumento, Bosso è diventato quindi una delle principali anime degli High Five, gruppo con cui ha inciso due album, Jazz For More e Jazz Desire. Di recente Bosso ha registrato un disco per l’etichetta giapponese Sound Hills dal titolo Rome After Midnight, altro significativo capitolo della carriera di un musicista destinato a bruciare le tappe, sempre nel segno di un jazz tanto sanguigno quanto appagante. Sabato 9 aprile La tromba di Wallace Roney non è uno strumento qualsiasi: apparteneva infatti a Miles Davis. E di Davis il più giovane collega è senz’altro uno dei più autorevoli “allievi”. Non a caso fu proprio Roney ad affiancare il grande Miles nella rilettura di celebri partiture gillevansiane sul palcoscenico di Montreux, nel luglio 1991. Così come non sarebbe stato un caso il successivo coinvolgimento dello stesso Roney da parte di Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams in un sentito omaggio all’antico leader. Nato a Filadelfia, Roney è però tutt’altro che un semplice imitatore: la sua devozione a Davis passa attraverso una forte personalità musicale, forgiata da importanti esperienze come la militanza nella big band del pianista sudafricano Adbullah Ibrahim e nei Jazz Messengers di Art Blakey. Significative sono anche le collaborazioni con Geri Allen, Marvin “Smitty” Smith e Kenny Garrett. L’ultimo album di Wallace Roney si intitola Prototype: vi compaiono, fra gli altri, il fratello Antoine ai sassofoni e il tastierista Adam Holzman, che fu a fianco di Davis negli anni Ottanta. Domenica 10 aprile Alcuni dei principali esponenti del rock d’autore e del jazz italiano rendono sentito e doveroso omaggio a colui che con la sua voce potente e carica di sensualità rivoluzionò letteralmente la canzone italiana: con l’urlo di “Volare” Domenico Modugno scardinò negli anni Cinquanta i luoghi comuni della canzonetta nostrana, lanciando un messaggio musicale, ma non solo, che in molti avrebbero poi raccolto. Oggi, a distanza di decenni, il mito di Domenico Modugno non ha infatti perso nulla della propria forza e la sua lezione rimane per molti artisti un modello ineguagliabile. Peppe Servillo, Giovanni Lindo Ferretti, Danilo Rea, Gianluca Petrella, Javier Girotto e tutti gli altri musicisti coinvolti in questa produzione originale sono consapevoli dell’importanza del grande Mimmo: il loro sarà dunque un omaggio rispettoso, ma da personalità controcorrente quali essi sono è lecito attendersi qualche piccolo tradimento, qualche piccola libertà. Ma sempre dimostrando quell’affetto che si prova per gli autentici maestri. Martedì 12 aprile Una serata nel segno di un jazz “puro” e nel contempo “contaminato”. Primo a salire in pedana un quartetto che trae la propria linfa vitale dal consolidato sodalizio tra il trombettista di origine napoletana, ma ormai a tutti gli effetti newyorkese d’adozione, Fabio Morgera e il sassofonista JD Allen, uno dei migliori solisti delle ultime generazioni di jazzmen d’oltreoceano. Si ascolti il recente album Red Stars (accreditato anche al batterista Victor Lewis) e si capirà bene di che pasta è fatta la musica di Morgera e Allen: dentro c’è tutta la tradizione del jazz moderno e un respiro contemporaneo che non ammette equivoci. Tradizione e modernità, nella più ampia accezione dei termini, sono da sempre al centro anche dell’immaginifica ricerca musicale del sassofonista Steve Coleman, forse il più carismatico guru del jazz odierno, già creatore negli anni Ottanta di quel nucleo di cospiratori sonori chiamato M-BASE e quindi leader di formazioni di varia foggia. Con i Five Elements, il gruppo più longevo diretto dal musicista di Chicago, Steve Coleman sposa rigorose geometrie compositive con un fluido eloquio improvvisativo di discendenza parkeriana. Giovedì 14 aprile Chet Baker, Lee Konitz, Art Farmer, Charlie Haden, Paul Motian e Billy Higgins sono soltanto alcuni dei maestri del jazz con i quali Enrico Pieranunzi ha proficuamente collaborato in tanti anni di onorata carriera. Il musicista romano è, infatti, uno dei più stimati pianisti europei, apprezzato per la sua profonda conoscenza del linguaggio jazzistico, nonché per la sua spiccata sensibilità espressiva. All’inizio stilisticamente discendente da Bill Evans, al quale ha dedicato un bel libro edito da Stampa Alternativa, Pieranunzi ha sviluppato col tempo un personale approccio alla tastiera, forte di un senso lirico che innerva anche i momenti più introspettivi. Con il suo collaudato trio americano, ovvero Marc Johnson al contrabbasso e Joey Baron alla batteria, Pieranunzi ha registrato diversi lavori, fra cui due album per la CAM Jazz interamente dedicati all’arte compositiva di Ennio Morricone (sempre per la CAM è di recentissima pubblicazione Special Encounter, in trio con Haden e Motian). Sul fronte della solo performance sono invece da segnalare alcuni dischi per la Egea, tra i quali Con infinite voci e Perugia Suite. Venerdì 15 aprile Una serata interamente dedicata ad una delle più interessanti scene jazzistiche del Vecchio Continente. Primo a scendere in campo, in rappresentanza delle nuove leve dei musicisti elvetici, il pianista Malcolm Braff, originario di Rio de Janeiro e cresciuto in Senegal, prima di trasferirsi a Ginevra: qui ha completato gli studi classici e ha debuttato artisticamente. Successive, ripetute esibizioni al prestigioso festival di Montreux e due album per la Blue Note hanno imposto Malcolm Braff come un talento emergente da tenere in debita considerazione. Attiva sin dagli anni Sessanta, Irene Schweizer è invece una figura storica del più avanzato jazz europeo, a proprio agio in contesti diversi, dal solo al duo (con, tra gli altri, i batteristi Pierre Favre e Han Bennink), ad ampi organici: al suo fianco si ascolterà la eccellente sassofonista Co Streiff, che con la pianista vanta un consolidato sodalizio, testimoniato anche dall’album della Intakt Twin Lines. Infine, il quartetto di Nicolas Masson, sassofonista con alle spalle significative esperienze di studio negli Stati Uniti (con Frank Lowe, Ken McIntyre e in seguito con Chris Potter); esperienze che lo hanno poi portato a dividere la propria attività musicale tra New York e la nativa Ginevra. Sabato 16 aprile Un grande maestro dell’improvvisazione, un artista tra i più rigorosi se ne è andato lo scorso giugno, lasciando dietro di sé una di quelle lezioni, sia sotto il profilo musicale che umano, che tutti dovrebbero tenere in debito conto. A ricordare il ruolo innovativo avuto da Steve Lacy nel jazz, ma non solo, sono stati chiamati a raccolta alcuni suoi antichi collaboratori e un sassofonista italiano che dell’illustre sopranista è sempre stato profondo estimatore, nonché attentissimo studioso. Enrico Rava, che proprio con Lacy mosse i primi passi a livello internazionale (ne è testimone lo storico album The Forest And The Zoo del 1966), ha scelto per questo tributo la via del duo con un pianista dal vasto curriculum come Dado Moroni. Roberto Ottaviano, Glenn Ferris, Jean-Jacques Avenel e John Betsch costituiscono, invece, un inedito quartetto, diretto discendente, peraltro, dei gruppi che il musicista americano guidò in tanti anni di stimolanti avventure musicali. “Listen To Lacy” è dunque un omaggio doveroso, sicuramente sentito, ma nello stesso tempo un punto di partenza per guardare avanti: così come lo stesso Steve Lacy ha sempre fatto. Domenica 17 aprile William Parker è stato nominato miglior jazzista straniero dell’anno nel “Top Jazz 2004”, il referendum del prestigioso mensile Musica Jazz. Tale riconoscimento attesta ulteriormente la statura internazionale di una personalità da anni ai vertici della nutrita pattuglia di solisti che non hanno mai smesso di credere nello spirito più avventuroso della musica afro-americana. Già partner, tra gli altri, di Don Cherry, Frank Lowe, Sunny Murray e soprattutto di Cecil Taylor, William Parker è attualmente uno dei principali animatori della scena newyorkese che guarda alla lezione del free storico come ad una delle più influenti del jazz. Lezione che il contrabbassista ha assorbito e personalizzato con gli opportuni aggiornamenti, mettendola in pratica alla guida di propri gruppi, tutti ottimi come il quartetto che da lui prende il nome e la Little Huey Creative Music Orchestra, nonché in veste di componente di svariate formazioni, tra cui il gruppo del sassofonista David S. Ware. Lunedì 18 aprile Inedito incontro tra la voce-strumento di un cantante tra i più versatili e tre dei più quotati jazzmen italiani. Terreno comune, una manciata di evergreen – da “Darn That Dream” a “Stormy Weather”, da “Night and Day” a “Cheek to Cheek” – ma anche temi originali. Il modello di John De Leo è nella specifica circostanza quello classico del crooner, opportunamente aggiornato e trasfigurato dall’estro di un cantante che sposa da sempre sperimentazione e comunicativa. E in questo suo percorso di ricerca John De Leo ha via via intessuto collaborazioni con personalità di varia estrazione come Rita Marcotulli, Teresa De Sio, Ambrogio Sparagna, Paolo Fresu, Stefano Benni, Paolo Damiani, Carlo Lucarelli, Stefano Bollani. Da parte loro, Danilo Rea, Furio Di Castri e Roberto Gatto sono jazzisti che evitano accuratamente i cliché e sanno bene come modellare melodie altrui per tramutarle in proprie, in virtù di una fantasia improvvisativa che trova sempre gli stimoli giusti per rigenerarsi e rinnovarsi. Martedì 19 aprile Tirodarco nasce nel 2003 dall’unione di tre musicisti di estrazione jazzistica che hanno sempre frequentato anche altri ambiti espressivi, dalla musica etnica a quella classico-contemporanea. La caratteristica principale del gruppo sta proprio nella combinazione di strumenti che hanno maggiore familiarità con la musica classica, piuttosto che con il jazz. Ma qui sta la sfida di Tirodarco: suonare una musica fuori dagli schemi, spesso reinventando il ruolo degli stessi singoli strumenti, ricercando così impasti sonori differenti da quelli tipici di una formazione d’archi. Ospite speciale nell’occasione è il clarinettista Gabriele Mirabassi, altro musicista in grado di misurarsi con suoni diversi, come attestano le sue collaborazioni con il fisarmonicista Richard Galliano, con il suonatore di oud Rabih Abou-Khalil e con i chitarristi brasiliani Sergio Assad e Guinga, nonché quella con un sensibile cantautore come Gianmaria Testa. Giovedì 21 aprile Nonostante la giovane età (è nato nel 1989 a Vittoria, in provincia di Ragusa), Francesco Cafiso è da qualche tempo al centro di un interesse da parte dei mass media raro per un jazzista. La sua prepotente apparizione sulle scene musicali, in virtù di un talento innato e di una tecnica strumentale di primissimo ordine, è stata salutata con ammirazione anche da illustri jazzmen d’oltreoceano: affermatosi nel 2001 al “Premio Massimo Urbani” di Urbisaglia, il sassofonista siciliano è stato infatti notato, tra gli altri, nientemeno che da Wynton Marsalis, che dal momento del loro incontro, avvenuto nel 2003, lo ha preso sotto la propria ala protettrice invitandolo più volte ad unirsi al suo gruppo e alla Lincoln Center Jazz Orchestra. Ormai ospite abituale dei più importanti festival europei, Cafiso ha vinto nel 2004 la World Saxophone Competition, nell’ambito del London Jazz Festival. In Italia svolge regolare attività concertistica, senza tuttavia trascurare gli studi scolastici e di conservatorio, suonando con musicisti di grande esperienza come Enrico Rava e Franco D’Andrea, oltre che con il proprio abituale quartetto. Sabato 23 aprile RAVENNA, TEATRO RASI, ORE 21:00 Strumentista dalla tecnica straordinaria e dalla dirompente carica comunicativa, Horacio “El Negro” Hernandez combina nel suo drumming la profonda conoscenza del composito universo ritmico latino con il linguaggio batteristico più schiettamente jazzistico. Nato all’Havana, per qualche tempo esule in Italia, dove ha svolto anche un’importante opera didattica, e quindi trasferitosi negli Stati Uniti, il musicista cubano è stato coinvolto a partire dai primi anni Novanta in numerosissimi gruppi e progetti, a testimonianza della propria innata versatilità: dalla United Nations Orchestra di Dizzy Gillespie alla band di Carlos Santana, dagli originali gruppi diretti da Kip Hanrahan al trio del pianista Michel Camilo, tanto per fare qualche esempio tra i molti possibili. Di rilievo è il suo sodalizio con il collega di strumento Robby Ameen, dal quale è nata una formazione che ha anche registrato un album dal vivo a Umbria Jazz. Italuba è l’ultima creazione di Horacio “El Negro” Hernandez, un compatto quartetto che fa propri i più tipici ingredienti del più scoppiettante latin jazz, proponendo una miscela musicale di assoluta efficacia anche sotto il profilo spettacolare. Sabato 30 aprile La furia di un Cecil Taylor e la spiritualità di John Coltrane sono gli ingredienti base dello stile di Marilyn Crispell, solista dalla tecnica di primissimo ordine e dal notevolissimo spessore espressivo. Nativa di Filadelfia, la Crispell agisce all’interno delle tendenze più avanzate del jazz contemporaneo: nel suo nutrito carnet di collaborazioni svetta quella con il polistrumentista Anthony Braxton, del cui quartetto degli anni Ottanta la pianista è stata una delle colonne portanti. Ma di indubbio rilievo sono anche i sodalizi con Joseph Jarman, Tim Berne, Reggie Workman e con gli europei Evan Parker, Barry Guy, Paul Lytton, Irene Schweizer e il nostro Stefano Maltese. Titolare di una vasta discografia a proprio nome, Marilyn Crispell è entrata da qualche tempo a far parte della scuderia ECM, per la quale ha inciso Nothing Ever Was, Anyway (su musiche di Annette Peacock), Amaryllis e il recente Storyteller. Nella dimensione del piano solo, la musicista statunitense si trova particolarmente a proprio agio, mettendo in mostra tutte quelle qualità che la pongono al vertice dell’odierno panorama pianistico. Mercoledì 4 maggio Con Which Way Is East, raccolta di intensi duetti registrati nel 2001 assieme al compianto batterista Billy Higgins, Charles Lloyd si è aggiudicato il “Top Jazz” del mensile Musica Jazz per il miglior disco straniero pubblicato nell’arco del 2004. Un risultato che premia, innanzi tutto, la coerenza espressiva di un musicista che sin dagli anni Sessanta - periodo in cui nel suo quartetto militava un allora emergente Keith Jarrett - percorre una strada personale, fatta di un jazz cristallino che predilige atmosfere liriche, spesso sospese nel tempo e nello spazio. Charles Lloyd è un poeta del sax tenore, erede del Coltrane più meditativo, ed è un leader che sa sempre circondarsi di partner adeguati: nel suo quartetto di oggi spicca la presenza di Geri Allen, pianista di gran classe che persino un tipo “difficile” come Ornette Coleman ha voluto con sé. Apre la serata il trio di Piero Bassini, prepotentemente emerso sulle scene jazzistiche nella seconda metà degli anni Settanta e successivamente protagonista, in qualità di componente dell’ottimo Open Form Trio, di alcune belle incisioni con il sassofonista americano Bobby Watson. Benché da tempo impegnato in special modo come insegnante, Bassini è uno dei pianisti italiani di maggior spessore, capace di suonare con travolgente senso dello swing ma anche con palpabile trasporto emotivo. Venerdì 6 maggio Pianista di finissima classe, ma anche esploratore di suoni elettronici, compositore di grande talento, autorevole band leader, finanche attore cinematografico: tutto questo è Herbie Hancock, personalità poliedrica, tra le preminenti del jazz degli ultimi quarant’anni. Nato a Chicago nel 1940, Hancock aveva appena undici anni quando si esibì con la Chicago Symphony Orchestra, eseguendo uno dei concerti di Mozart per pianoforte e orchestra. Le sue prime esperienze jazzistiche risalgono agli albori degli anni Sessanta, assieme al trombettista Donald Byrd; successivamente gli si sarebbero spalancate le porte della Blue Note e quindi dello storico quintetto di Miles Davis, quello completato da Wayne Shorter, Ron Carter e Tony Williams. Hancock rimarrà accanto al geniale trombettista fino ai primi segnali della svolta elettrica, per poi involarsi per proprio conto verso una fusione tra jazz e funk. Dagli anni Settanta in avanti, il percorso artistico di Hancock si snoderà perciò all’insegna della duplice dimensione elettrica ed acustica. Quest’ultima, al momento, sembrerebbe la prediletta da un musicista nel cui ricco carnet di riconoscimenti internazionali figurano ben otto Grammy Award e un premio della Academy Award per la colonna sonora del film Round Midnight di Bernard Tavernier. * * *Acquisto on-line con Universal Ticket * * * Sabato 7 maggio Se l’improvvisazione fosse un’arte a sé stante, Evan Parker ne sarebbe l’incarnazione vivente. Il sassofonista di Bristol rappresenta, comunque, uno dei massimi vertici artistici prodotti dalla free music, non solo in ambito europeo. Originariamente influenzato da John Coltrane, Parker ha individuato sin dagli anni Sessanta il proprio campo d’azione: un’esplorazione audace, senza compromesso alcuno, delle risorse espressive dei propri strumenti, il sax tenore e il sax soprano, anche avvalendosi di tecniche di respirazione circolare. Dalle esperienze con un collettivo aperto come lo Spontaneous Music Ensemble al sodalizio con il chitarrista Derek Bailey, che ha portato anche alla creazione del gruppo Music Improvisation Company, dalla militanza in organici orchestrali come i Brootherhood of Breath e la Globe Unity alle collaborazioni con gli olandesi Misha Mengelberg e Han Bennink e con musicisti di disparata provenienza geografica, dal trio con i connazionali Barry Guy e Paul Lytton all’Electro Acoustic Ensemble: il percorso musicale di Evan Parker è da sempre contraddistinto da una ricerca improvvisativa che non ha mai conosciuto momenti di aridità creativa. Mercoledì 25 maggio Nel 1898, alla fine della guerra d’indipendenza di Cuba dalla Spagna, un piccolo gruppo di musicisti di Santiago, città culla prima del son e poi della trova, si riunì e creò quella che rapidamente sarebbe diventata la Banda Municipale de Santiago de Cuba. Esattamente un secolo più tardi, la Banda registrerà il suo secondo album e comincerà a girare il mondo sull’onda della riscoperta planetaria della musica cubana. Nel gruppo sono transitati nel frattempo numerosi musicisti di talento: nel 1929 vi esordì come clarinettista Compay Segundo, prima di affermarsi come il carismatico cantante di Los Comprades e più tardi come uno degli arzilli vecchietti di Buena Vista Social Club. L’evoluzione artistica e il repertorio della Banda raccontano gran parte della storia della musica cubana, dai dànzones e altre musiche da ballo fino alle congas, habaneràs e sones. Antiche composizioni dei maestri della trova, del son e della cancion vengono riadattate per il particolare organico di una formazione che si distingue per la vivacità delle sue esecuzioni.
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