Jazz Network, Regione Emilia-Romagna
Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura, Comune di Rimini Settore Cultura, Comune di Correggio, Ater
Comune di Imola Assessorato alla Cultura, Comune di Russi - Teatro Comunale, Fondazione Teatro Rossini di Lugo
Comune di Castel San Pietro Terme Assessorato alla Cultura, Comune di San Lazzaro di Savena Assessorato alla Cultura
Comune di Modena Assessorato alla Cultura e Assessorato alle Politiche Giovanili
Associazione Culturale Baluardo della Cittadella di Modena, Modena Jazz Club
Comune di Massa Lombarda Assessorato alla Cultura, Comune di Cesenatico Assessorato alla Cultura, Associazione Sonia Jazz
Combo Jazz Club di Imola, Comune di Dozza Assessorato alla Cultura, Compagnia Teatrale della Luna Crescente
Comune di Longiano - Teatro Petrella, ERT, Piacenza Jazz Club
Comune di Bomporto, Comune di Fiorano Modenese, TIR Danza - TIR Teatro di Modena
Il Gruppo Libero - Teatro San Martino Bologna, Museo Carlo Zauli di Faenza, La Galera Cantina Music Club di Correggio
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
-- SCHEDE ARTISTI --
Mercoledì 22 febbraio La settima edizione di Crossroads prende avvio con il trio di un pianista di classe sopraffina che appartiene a quel genere di musicisti che hanno mantenuto intatta nel tempo la propria identità espressiva. Nato nel 1938 a Brooklyn, Steve Kuhn si è sempre distinto per il suo tocco cristallino, prediligendo atmosfere intimiste, di grande profondità emotiva. Con alle spalle studi classici, ha compiuto esperienze formative in campo jazzistico suonando nei club di Boston accanto a Coleman Hawkins, Chet Baker e Vic Dickenson. Tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà del decennio seguente ha suonato con Kenny Dorham, John Coltrane, Stan Getz e Art Farmer, stabilendosi successivamente in Europa, non prima di aver costituito un proprio trio con Steve Swallow e Pete LaRoca. Al ritorno negli Stati Uniti, nel 1971, ha collaborato proficuamente con la cantante Sheila Jordan. Più di recente, a partire dagli anni Ottanta, ha guidato vari trii all’interno dei quali si sono avvicendati musicisti del calibro di Ron Carter, Aldo Romano, Joey Baron e Al Foster. Il nuovo trio di Steve Kuhn vede in campo un gigante del contrabbasso come Eddie Gomez (già partner di Paul Bley e Bill Evans) e un batterista di provata affidabilità come Billy Drummond. Martedì 28 febbraio La musica di Bïa ha un po’ lo spirito del jazz, ma non è jazz. Sembra canzone francese, ma non è canzone francese. È musica popolare brasiliana, ma non è solo questo. Una cosa è comunque certa: la musica di Bïa (all’anagrafe Beatriz Krieger) è radicata a Rio, dove la cantante è nata e cresciuta, prima di compiere una serie di viaggi nello stesso Brasile, in Cile, Perù, Portogallo, Spagna. Viaggi che le hanno permesso di esplorare a fondo la musica e la cultura del mondo latino. Nel 1987 arriva in Europa, suona ovunque, si sposa con uno skipper e gira in barca a vela per il Mediterraneo. Nel 1995 incontra Pierre Barouh, compositore delle musiche del film “Un uomo e una donna” di Lelouch: sarà lui a produrre il debutto discografico di Bïa, salutato nel 1997 dal premio dell’Accademia Charles Cros. Il secondo album Sources ne conferma il talento e include, tra l’altro, una bellissima canzone di Gianmaria Testa, “Piccoli fiumi”. L’ultimo CD di Bïa, Coeur Vagabond/Coração Vagabundo, è un omaggio alle due culture di riferimento della cantante, la brasiliana e la francese, e comprende versioni in francese di canzoni di Tom Jobim, Marcio Faraco, Lenine e Baden Powell. Venerdì 3 marzo L’accoppiata voce-pianoforte è sempre fonte di forti suggestioni. Nel caso di Leena Conquest e Dave Burrell a far da collante è il più schietto humus afro-americano, nel quale ambedue gli artisti sono radicati. Lei, che è anche autrice e ballerina, è nota soprattutto per le sue esperienze tra hip hop e acid jazz, ma anche per la militanza nel quartetto del contrabbassista William Parker, uno dei principali animatori delle attuali avanguardie jazzistiche nere. Lui è stato uno dei pianisti di spicco della stagione del free jazz, forte di uno stile che combina incalzante energia ritmica e profondo senso lirico. Negli anni Sessanta, proprio nell’ambito dei fermenti della new thing, Dave Burrell ha suonato con Archie Shepp, Marion Brown, Pharoah Sanders, Giuseppi Logan e Sunny Murray, partecipando successivamente al collettivo 360 Degree Music Experience, ideato dal trombonista Gracham Monchur III e dal batterista Beaver Harris. E altrettanto memorabili sono i due album registrati in duo negli anni Novanta con il sassofonista David Murray, In Concert e Windward Passages. La più recente prova discografica di Burrell è un piano solo inciso nel 2005 in Italia, Margy Pargy. Sabato 4 marzo Cresciuto nel Bronx, figlio di musicisti dilettanti, Don Byron è colui che ha riportato in alto le quotazioni del clarinetto, strumento che senza il suo contributo rischiava di essere relegato ai libri di storia. Con alle spalle studi classici, Byron si è messo in evidenza negli anni Novanta con alcuni album di notevole spessore, primo fra tutti Tuskegee Experiments, inciso nel 1992 con Bill Frisell alla chitarra. Il suo interesse per la musica di tradizione ebraica lo ha condotto in seguito a scoprire un personaggio straordinario come Mickey Katz, leader di gruppi klezmer, umorista Yiddish e popolare parodista degli anni Cinquanta: il risultato è contenuto nell’ottimo Don Byron Plays The Music Of Mickey Katz. Ma la sua sete di nuove conoscenze lo ha anche spinto verso le musiche latine, con il progetto “Music For Six Musicians”, la riscoperta della Swing Era (Bug Music) e del funk (No Blaxpoitation). L’Ivey-Divey Trio prende il nome dalla più recente fatica discografica del clarinettista: un sentito omaggio a Lester Young che sul palcoscenico viene reso assieme al pianista rivelazione degli ultimi anni, Jason Moran, e a un batterista di grande esperienza come Billy Hart. Lunedì 6 marzo Rita Marcotulli e Andy Sheppard costituiscono ormai da tempo una coppia artistica affiatata: a propiziare l’incontro tra la pianista romana e il sassofonista inglese è stata la comune predilezione per una musica dai limpidi tratti melodici, sospinta da quella naturale, spiccata cantabilità che contraddistingue entrambi. Originario di Warminster, Andy Sheppard è non da oggi uno dei più quotati solisti europei: non è un caso che di lui si siano accorti quotatissimi bandleader come Gil Evans, George Russell e Carla Bley. Ma la carriera del sassofonista si è snodata anche lungo altri significativi percorsi, come le collaborazioni con, fra gli altri, Pat Metheny, Nana Vasconcelos, L. Shankar, gli olandesi Han Bennink e Ernst Reijseger. Attiva sin dai primissimi anni Ottanta, Rita Marcotulli ha pure lei via via collezionato importanti riconoscimenti sul campo, suonando con Dewey Redman, Joe Henderson, Peter Erskine, Joe Lovano, Charlie Mariano, Billy Cobham, Richard Galliano, Enrico Rava, lo stesso Metheny e numerosi altri. Mercoledì 8 marzo Airto Moreira è il poeta delle percussioni. Dai suoi strumenti trae colori dalle infinite sfumature e, naturalmente, una carica ritmica travolgente. In Brasile, quando era sui vent’anni, ha partecipato all’innovativa esperienza del Quarteto Novo, condivisa assieme al polistrumentista e compositore Hermeto Pascoal. Poi, sul finire degli anni Sessanta, ha preso la via degli Stati Uniti: determinante per la sua crescita artistica sarà l’incontro con Miles Davis, che coinvolgerà per qualche tempo il formidabile musicista brasiliano nella band elettrica post Bitches Brew. Airto Moreira farà poi parte del nucleo originario dei Weather Report e offrirà un fondamentale contributo anche alla prima edizione dei Return To Forever di Chick Corea. Altre collaborazioni importanti: Stan Getz, Cannonbal Adderley, Gato Barbieri, Al Di Meola. Insomma, in tanti hanno voluto con sé Airto Moreira e le sue fantasiose percussioni. Ma il sodalizio artistico più duraturo rimane quello con la cantante Flora Purim, compagna del percussionista anche nella vita: voce duttile e fortemente espressiva, Flora Purim rappresenta l’ideale punto di congiunzione tra la musica brasiliana e la più schietta vocalità jazzistica. Venerdì 10 marzo In Francia i Bahasabé sono un gruppo di culto, acclamato da critica e pubblico come simbolo di un nuovo, appassionante meticciato sonoro: la loro musica è, infatti, impregnata di tango e di milonga, di Africa, di Brasile, di Europa. È musica ricca di ritmi, di colori, di ironia e di nostalgia. Serena Fisseau, francese con ascendenze indonesiane, canta in lingue diverse (spagnolo, portoghese e, ovviamente, francese e indonesiano), con voce profonda e fragile, con accenti commoventi e sensuali, emanando uno charme irresistibile sottolineato da una gestualità elegante. Sul palco, senza nulla togliere al valore dei musicisti che le stanno accanto, è lei a catturare subito l’attenzione del pubblico con la sua presenza magnetica. In Italia i Bahasabé suonano adesso per la prima volta, ma c’è da essere sicuri che riusciranno a far breccia con una musica che è il punto di incontro fra tante musiche, in un ideale abbraccio fra culture diverse. Domenica 12 marzo Cedar Walton è una delle colonne portanti del pianismo jazz di estrazione boppistica. Accompagnatore sensibile, leader autorevole, nonché compositore di talento (brani a sua firma quali “Ugetsu”, “Bolivia”, “Mosaic” e “Maestro” sono da tempo entrati nel novero dei classici), Cedar Walton ha legato il proprio nome a gruppi storici come il Jazztet di Benny Golson e Art Farmer e i Jazz Messengers di Art Blakey, nei quali ha militato tra il 1961 e il 1964, per poi ritornarvi verso la metà degli anni Settanta. Ma intensa è stata pure la sua attività come leader di formazioni varie, nelle quali si sono alternati sassofonisti del valore di Hank Mobley, George Coleman, Clifford Jordan e Bob Berg. L’ambito espressivo privilegiato dal pianista texano resta, tuttavia, il trio: quello memorabile con il fedele contrabbassista David Williams e il batterista Billy Higgins è documentato da una serie di preziose incisioni della Red Records, etichetta per la quale Walton ha inciso anche in quintetto, in duo con lo stesso Williams e in solo. Venerdì 17 marzo Sin dagli anni Sessanta, Mike Westbrook è una delle personalità di maggior spicco del British Jazz, autorevole compositore, arrangiatore, bandleader e pianista. A lui si devono alcune delle pagine orchestrali più belle e intense del jazz europeo (da Metropolis a Citadel/Room 315, a The Cortége), ma nell’arco della sua carriera Westbrook si è anche espresso compiutamente alla testa di organici di dimensioni più ridotte, tra cui una Brass Band artefice di una sorta di jazz-cabaret. Assieme alla moglie Kate, cantante, autrice e pittrice, ha esplorato a fondo i legami fra musica, poesia e letteratura, facendo proprie liriche di Rimbaud, Lorca, Hesse, William Blake e altri autori. Il progetto Art Wolf è ispirato all’opera dell’artista svizzero Caspar Wolf (1735-1783), i cui paesaggi alpini sono riprodotti nel libretto allegato all’album omonimo, edito dall’etichetta elvetica Altrisuoni. Art Wolf è, al pari di numerosi altri lavori portati a felice compimento da Mike Westbrook, un eccellente esempio di incontro fra classicità e modernità, fra tradizione e sperimentazione. Sabato 18 marzo Da sempre, Giancarlo Schiaffini agisce su due fronti apparentemente lontani fra loro: il jazz e la musica contemporanea di estrazione accademica. Componente negli anni Sessanta dello storico Gruppo Romano Free Jazz, il trombonista ha studiato con Stockhausen, Ligeti e Vinko Globokar, collaborando poi con Luigi Nono, Giacinto Scelsi e John Cage. Ha fatto inoltre parte del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, significativa esperienza a cavallo fra improvvisazione e musica colta. Coinvolto sin dall’inizio nella felice avventura della Italian Instabile Orchestra, Schiaffini ha anche intrapreso una ricerca sull’uso dell’elettronica abbinata al suo strumento principale. In ambito più prettamente jazzistico ha anche collaborato con le cantanti Tiziana Ghiglioni e Lucilla Galeazzi e diretto vari gruppi dalle fogge diverse. Il progetto “Phantabrass”, sorta di piccola orchestra di ottoni più sezione ritmica, si inserisce in questo contesto rendendo omaggio a Lester Bowie, una delle colonne del glorioso Art Ensemble Of Chicago. Domenica 19 marzo Principale protagonista della serata è un gruppo che trae la propria linfa vitale dall’improvvisazione più immaginifica: ne fanno parte due britannici e un italiano, accomunati appunto da una concezione musicale dallo sviluppo imprevedibile. Lol Coxhill è un veterano della più audace scena del jazz inglese ed europea tutta: ha collaborato, infatti, con Derek Bailey, Evan Parker, Steve Lacy, Misha Mengelberg, Chris McGregor, ma anche con gruppi rock non convenzionali come gli Henry Cow e gli Hatfield And The North. Veryan Weston è attivo musicalmente sin dai primi anni Settanta: oltre che con Coxhill, ha suonato con Phil Minton, Eddie Prévost, Trevor Watts, John Butcher, Roger Turner e con la London Improvisers Orchestra. Dal canto suo, il chitarrista Enzo Rocco non è nuovo a frequentazioni con autorevoli esponenti del British Jazz: nel suo vasto e variegato bagaglio di esperienze ci sono anche sodalizi con John Edwards e Steve Noble, nonché collaborazioni con Giancarlo Schiaffini, Eugenio Colombo e Carlo Actis Dato. Lunedì 20 marzo Da emulo di John Coltrane in età giovanile a protagonista di un affascinante e stimolante viaggio sonoro che lo ha portato a confrontarsi con il patrimonio folklorico della sua terra, ma anche con culture geograficamente lontane: così si può riassumere l’appassionante percorso artistico di Jan Garbarek, uno dei più originali jazzisti europei in assoluto. Ma il sassofonista norvegese è innanzi tutto un musicista animato da un’innata libertà espressiva che gli ha permesso prima di farsi le ossa accanto al celebre bandleader e compositore George Russell e poi di spiccare il volo da solo o a fianco di personalità del calibro di Keith Jarrett, Charlie Haden, del chitarrista brasiliano Egberto Gismonti, del violinista indiano L. Shankar, del suonatore di oud Anouar Brahem, nonché del mirabile quartetto vocale inglese Hilliard Ensemble. A capo del suo quartetto, ora parzialmente rinnovato con l’innesto dell’ottimo batterista Manu Katché, Garbarek è autore di una musica dai marcati caratteri evocativi e dalle forti suggestioni ambientali: una musica davvero senza confini, seducente come pochissime altre. ** acquisto biglietti on-line ** Giovedì 23 marzo Ricardo Herz è uno dei nomi nuovi della musica brasiliana, vincitore nel 2004 del Premio Visa, uno dei più importanti riconoscimenti del suo Paese. Formazione classica, influenze e studi jazzistici si sposano nella sua musica con una radice etnica inconfondibilmente brasiliana, rappresentata dal choro, dal forró, dal samba. Ricardo Herz si è avvicinato alla musica a cinque anni e a undici ha cominciato a dedicarsi al violino, che ha studiato proficuamente imponendosi poi in vari concorsi riservati a giovani musicisti. Fra il gennaio 2001 e il giugno del 2002 ha frequentato i corsi di perfezionamento in violino jazz del Berklee College of Music di Boston. In seguito si è trasferito in Francia, per studiare al Centre de Musique Didier Lockwood. Dopo aver partecipato a incisioni di Giana Viscardi, Fortuna e Danilo Moraes, ha firmato il suo primo album da solista, con la direzione musicale di Hamilton de Holanda e la partecipazione del fisarmonicista Dominguinhos. Domenica 26 marzo Dopo aver partecipato all’ultima edizione di “Ravenna Jazz”, Benny Golson torna in Emilia Romagna, questa volta alla guida di un autentico supergruppo allestito in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa del grande trombettista Clifford Brown. Accanto al leader ci sono due primi della classe della tromba contemporanea, quali Randy Brecker e Eddie Henderson, e una ritmica coi fiocchi che allinea il pianista Mike LeDonne, il contrabbassista Buster Williams e il batterista Al Foster. Classe 1929, Golson appartiene a quella ormai quasi estinta genia di musicisti che quando salgono sul palcoscenico incarnano “un ricordo del passato, pieno di malinconia, di magia da tempo perduta”, per usare le parole di Joachim E. Berendt. Tenorista dalla sonorità sinuosa, profonda e nel contempo rotonda, Golson è entrato nella storia del jazz per aver militato nei Jazz Messengers di Art Blakey, ma anche e forse soprattutto per aver scritto alcune delle più belle pagine di questa musica, da “Blues March” a “Along Came Betty”, da “Whisper Not” a “Killer Joe”, fino a quel gioiello di valore inestimabile che si chiama “I Remember Clifford”. Mercoledì 29 marzo Due voci femminili diverse tra loro, ma nello stesso tempo accomunate dal desiderio di comunicare attraverso la musica emozioni sincere. Cristina Donà si definisce una cantautrice rock ed è sicuramente una delle più belle realtà della attuale scena italiana. Basti pensare che il suo album d’esordio Tregua si è aggiudicato nel 1997 la Targa Tenco come miglior debutto dell’anno, e che al successivo Nido ha preso parte un personaggio della statura di Robert Wyatt. Ed è proprio partecipando a Soupsongs, sentito omaggio all’ex batterista dei Soft Machine ideato dalla trombonista inglese Annie Whitehead, che Cristina Donà ha avuto modo di condividere più volte il palcoscenico con Sarah-Jane Morris, capelli rossi, sorriso malinconico e accattivante, temperamento da soulwoman. Dotata di una voce tanto potente quanto duttile, la vocalist britannica non teme il confronto con ambiti musicali tra i più disparati: dal pop al musical, dal jazz alla musica contemporanea. Il suo ultimo album, Love And Pain, risale al 2003, ma presto ne uscirà uno nuovo, con Marc Ribot alla chitarra. Giovedì 30 marzo Una serata nel segno del pianoforte, più precisamente dei più aggiornati sviluppi del pianismo di filiazione bop. Ne sono protagonisti due musicisti di età diversa che rielaborano appunto in modo personale la lingua moderna del jazz, senza per questo tradirne i presupposti espressivi. Mike Melillo è nato a Newark nel 1939 e ha alle spalle un curriculum di tutto rispetto, comprese collaborazioni con Sonny Rollins e Phil Woods. Da anni di casa in Italia, ha suonato e inciso con Franco D’Andrea, Massimo Urbani e Tiziana Ghiglioni: con Massimo Moriconi e Giampaolo Ascolese ha dato vita a un longevo trio con il quale ha registrato Alternate Changes For Bud (1987) e Bopcentric (1998), entrambi per la Red Records, di cui ricorre quest’anno il trentennale della nascita. Originario del Venezuela, classe 1969, Edward Simon è invece uno dei più dotati pianisti delle ultime generazioni. Ha suonato negli Horizon di Bobby Watson, con Terence Blanchard e Kevin Eubanks e, grazie alla naturale confidenza con la musica latina, con Paquito D’Rivera e Jerry Gonzales. Rilevante è, inoltre, il suo sodalizio con il sassofonista David Binney, con il quale ha inciso Fiesta de Agosto. Sabato 1 aprile Dai primi anni Settanta, Eugenio Colombo è tra i più creativi jazzisti di casa nostra: sassofonista, flautista e compositore, il musicista romano si è costruito un personale mondo espressivo nel quale il più avanzato linguaggio del jazz coabita in piena armonia con elementi della cultura mediterranea. Tra i gruppi di cui ha fatto parte, si ricordano il trio S.I.C. (con Giancarlo Schiaffini e Michele Iannaccone) e i quartetti di sassofoni Virtuosi di Cave e Fratelli Sax, oltre naturalmente alla Italian Instabile Orchestra, nelle cui file Colombo milita tuttora. In qualità di leader e compositore ha ideato vari progetti, tra i quali “Sorgente Sonora”, per banda e solisti improvvisatori, e “Giuditta”, oratorio su testi biblici per tre voci liriche femminili e trio jazz, dedicandosi anche proficuamente all’attività di solo performer. Con l’inedito sestetto Freexielander, nel quale figura significativamente lo stesso Schiaffini, Eugenio Colombo rende omaggio a modo suo ad una delle leggende del jazz: Louis Armstrong. Domenica 2 aprile “Itinerari del Mondo” è un progetto che vede in campo le poliedriche percussioni di Trilok Gurtu (in passato componente degli Oregon e collaboratore di John McLaughlin) e gli archi del quartetto Arkè, già apprezzato accanto a Stefano Bollani, Gabriele Mirabassi e Antonella Ruggiero. Il risultato è un’affascinante fusione tra la complessità ritmica portata in dote dal celebre musicista indiano e la rivisitazione moderna del classico quartetto d’archi (con il contrabbasso al posto del violoncello) da parte dell’Arkè String Project, in un gioco di influenze latine e indiane che configurano una sorta di etno-jazz dalle molteplici sfumature. Complessi contrappunti, melodie avvolgenti e ardite poliritmie regalano un’esperienza di ascolto stimolante, unica nel suo genere, fra atmosfere liriche e momenti ritmicamente coinvolgenti. Il repertorio è formato interamente da brani originali scritti e arrangiati da Trilok Gurtu e dai componenti dell’Arkè, unendo scrittura e improvvisazione, lasciando quindi ampio spazio all’inventiva del momento. Giovedì 6 aprile Musicista dalla creatività davvero contagiosa, una vera forza della natura ma anche un autentico poeta, Antonello Salis incarna un modo di fare musica che esalta l’estro improvvisativo del momento. In questo senso il musicista sardo è un vero compositore istantaneo: dal suo pianoforte e dalla sua fisarmonica le idee sgorgano senza sosta, in un gioco di echi folklorici e di citazioni jazzistiche sempre appagante. Più legati alla strada maestra del jazz, benché il contrabbassista ceco abbia compiuto nel corso degli anni esperienze diverse tra loro, Miroslav Vitous e Franco Ambrosetti esemplificano al meglio il dialogo paritario a due voci. Entrambi vantano prestigiosissime collaborazioni e del jazz conoscono ogni segreto, anche il più nascosto: Vitous ha fatto parte della primissima edizione dei Weather Report e ha all’attivo vari dischi per la ECM, l’ultimo dei quali si intitola Universal Syncopations, mentre il trombettista elvetico ha suonato con Michael Brecker, Phil Woods, John Scofield e tanti altri illustri jazzmen statunitensi. Sabato 8 aprile Nato a Messina ma bolognese di adozione, Domenico Caliri è sicuramente tra i più interessanti e audaci chitarristi italiani: nel suo stile si coglie una sintesi fra umori diversi che getta un ponte tra jazz e rock sperimentale. Già componente degli Electric Five di Enrico Rava, Caliri ha avuto modo di collaborare con numerosi altri solisti italiani e stranieri, da Gianluigi Trovesi a Stefano Bollani, da Paolo Fresu a Gianluca Petrella, da Lester Bowie a Kenny Wheeler, da Aldo Romano a Richard Galliano. Giovedì 13 aprile Daniele Di Bonaventura e Alfredo Laviano costituiscono da tempo un duo che pratica una musica che valica volutamente i confini tra i generi. L’inizio del loro sodalizio risale al 1995, e due anni dopo è avvenuta la pubblicazione di Improvisation, nel quale Di Bonaventura si alterna tra bandoneon e pianoforte. Negli anni è poi maturata l’idea di utilizzare solo lo strumento simbolo del tango, unitamente ad un sempre più vasto assortimento di percussioni. La strada imboccata dai due musicisti ha quindi portato alla realizzazione nel 2000 di Transumanza, frutto di una ricerca sonora rigorosa ma attenta a non perdere mai di vista l’aspetto comunicativo. Sia Di Bonaventura che Laviano hanno in curriculum parecchie collaborazioni nell’ambito del jazz, della world music, del teatro. Esperienze confluite inevitabilmente anche nella musica di cui sono insieme sensibili autori e interpreti. Sabato 15 aprile Messosi in luce sul finire degli anni Settanta tra le file della Mitteleuropa Orchestra diretta dal percussionista Andrea Centazzo, Daniele D’Agaro ha soggiornato lungamente all’estero, a Berlino e in Olanda, per poi far ritorno in patria. La sua attività si è perciò svolta principalmente nel segno di prestigiose collaborazioni internazionali: il sassofonista e clarinettista friulano ha suonato in varie formazioni (J.C. Tans Orchestra, Sean Bergin’s Mob, Frankie Douglas’ Sunchild) e con solisti di varia estrazione stilistica, dal trombettista Benny Bailey ad esponenti della nuova scena di Chicago quali il trombonista Jeb Bishop e il bassista Kent Kessler. Il Tempest Trio nasce dall’intesa con altri due fantasiosi musicisti quali sono Bruno Marini, noto forse più come sassofonista ma nella circostanza impegnato all’organo Hammond, e il funambolico batterista olandese Han Bennink. Il gruppo mescola il tipico sound degli organ trio anni Sessanta con la lezione di santoni del free, Albert Ayler su tutti. Ne consegue una musica ad alto voltaggio energetico che disorienta volutamente l’ascoltatore e nel contempo lo affascina e lo coinvolge. Lunedì 17 aprile Nativo di Filadelfia, città che in passato molto ha dato al mondo del jazz e ancora molto sta dando, avviatosi alla carriera professionale dopo aver conseguito il diploma al Berklee College of Music di Boston, Kurt Rosenwinkel è uno dei più interessanti chitarristi delle ultime generazioni d’oltre oceano. Nel suo fluido e limpido stile strumentale è ravvisabile la lezione dei grandi maestri moderni delle sei corde, da Wes Montgomery fino a Pat Metheny e Bill Frisell. All’inizio ha suonato nel gruppo del vibrafonista Gary Burton, uno che di chitarristi ne ha capito sempre parecchio, per poi entrare nella Electric Bebop Band di Paul Motian e intraprendere la strada solistica, contrassegnata da vari album che ne attestano il talento, tra i quali The Enemies Of Energy, The Next Step e il recente Deep Song, dove si ascoltano tra gli altri il sassofonista Joshua Redman e il pianista Brad Mehldau. Kurt Rosenwinkel, che nel 1995 si è aggiudicato un Composer’s Award del National Endowment For The Arts, è autore di un jazz brioso ed elegante, di derivazione mainstream ma nel contempo sensibile agli umori contemporanei. Giovedì 20 aprile Fabio Petretti e Michele Francesconi propongono un repertorio che spazia tra i più famosi temi italiani del passato, provenienti dal patrimonio popolare, dalla canzone d’autore, dalla musica per il cinema. Passano così in rassegna “Un uomo in frac”, “Amore baciami”, “Mille lire al mese”, “Senza fine” e altre canzoni che i due musicisti rielaborano a modo loro con un pizzico di nostalgia ma anche di salutare ironia. Sabato 22 aprile Aldo Romano è al centro di una serata concepita esclusivamente per Crossroads, nell’arco della quale il musicista italo-francese si esibisce prima nell’abituale ruolo di batterista alla guida del suo trio e quindi, coadiuvato da un organico allargato, nelle vesti più insolite di cantante, lasciando il posto dietro a piatti e tamburi a Massimo Manzi. Un doppio concerto che è quasi il coronamento di un sogno, così come lo è sicuramente il recentissimo album di Aldo Romano: nel CD, intitolato programmaticamente Chante, pubblicato dalla Dreyfus e già salutato in Francia come un evento, si ascoltano classici di Charles Trenet (“Les enfants s’ennuient le dimanche”), di Leo Ferré (“A St. Germain des Prés”), di Cole Porter (“So In Love”), di Bruno Martino (“Estate”). Ma in scaletta ci sono anche un paio di brani composti a quattro mani da Claude Nougaro con lo stesso Aldo Romano, che in “Io qui tu lì”, con testo scritto da Nicky Nicolai, duetta con Carla Bruni sfoderando, qui come altrove, una vocalità colloquiale e dai tratti romantici. Il cuore dell’Aldo Romano cantante batte comunque al ritmo del jazz: un jazz sofisticato, da ascoltare obbligatoriamente a luci soffuse. Lunedì 24 aprile Il più internazionale dei jazzisti di casa nostra è un habitué di Crossroads, e ogni volta è l’occasione per presentare un nuovo progetto. Ora tocca alla reunion con uno dei più grandi trombonisti della storia del jazz: Roswell Rudd. Il musicista americano è ospite del collaudato quintetto di Enrico Rava, che allinea già un altro eccellente specialista del trombone come Gianluca Petrella: l’incontro fra Rudd e il più giovane collega di strumento è sicuramente uno dei tanti motivi che alimentano l’interesse verso la rinnovata collaborazione con il trombettista italiano. Collaborazione che ha le proprie radici negli anni Settanta e momento saliente in uno dei primi album incisi da Rava per la ECM, Quartet, realizzato con il contributo di altri due magnifici musicisti, il compianto contrabbassista francese J.F. Jenny-Clark e Aldo Romano. Correva l’anno 1978 e riascoltare oggi il duo Rava-Rudd sulle note immortali della monkiana “Round Midnight” fa ancora venire i brividi su per la schiena. Ma il jazz non è una musica fatta solo di ricordi e c’è da scommettere che Enrico Rava e Roswell Rudd sapranno attualizzare il loro antico, prezioso sodalizio. Giovedì 27 aprile Nato a Vicenza, ma romano d’adozione, Danilo Rea è uno dei più sensibili pianisti, non solo a livello nazionale, oggi sulle scene. Attivo sin dalla metà degli anni Settanta, ha collaborato con illustri jazzmen d’oltre Atlantico quali Chet Baker, Lee Konitz, Phil Woods, Bob Berg, Billy Cobham, Michael Brecker, Gato Barbieri e numerosi altri. Ha operato anche nell’ambito della musica leggera, suonando dal vivo o incidendo con Claudio Baglioni, Mina, Pino Daniele, Fiorella Mannoia. Nell’ultimo decennio ha condiviso l’importante esperienza di Doctor 3, assieme al contrabbassista Enzo Pietropaoli e al batterista Fabrizio Sferra. Altri significativi sodalizi sono quelli con Enrico Rava, con il batterista Roberto Gatto, con il quale Rea si esibisce sovente in duo, e con la cantante Maria Pia De Vito, con cui il pianista ha inciso il recente album So Right, dedicato a Joni Mitchell. Nel suo omaggio a Fabrizio De André, Danilo Rea interpreta canzoni che recano l’inconfondibile sigillo di uno dei più grandi cantautori italiani: da “Canzone di Marinella” a “Via del campo”, da “Crueza de Ma” a “Don Raffae’”. Sabato 29 aprile Tuck Andress e Patti Cathcart fanno coppia fissa nell’arte come nella vita. Lui è originario dell’Oklahoma e ha studiato chitarra classica alla Stanford University, prima di prendere la strada di Las Vegas e cominciare la carriera di musicista. Lei è nata a San Francisco e ha conosciuto il futuro marito nel 1981, dando avvio ad un sodalizio davvero fortunato, cementato dalla comune passione del chitarrista e della cantante per il pop più sofisticato, il jazz e il soul. L’esordio discografico di Tuck & Patti risale al 1988, con Tears Of Joy, album nel quale compare la cover di “Time After Time” di Cindy Lauper. Il successo internazionale non hatardato ad arrivare e dopo altri due dischi per la californiana Windham Hill, il duo è passato alla Epic, con Learning How To Fly, in cui si alternano standard e brani originali. E con questa stessa ricetta, la carriera dei due è proseguita nel segno di una musica che mescola eleganza formale e intensità espressiva. Una musica che nasce dalla perfetta combinazione tra le raffinate sei corde di Tuck e la voce ricca di pathos di Patti. Giovedì 4 maggio Pronunciare il nome di Arturo Sandoval significa evocare automaticamente il più spettacolare, scoppiettante, travolgente latin jazz, di cui il trombettista cubano è da sempre uno dei più autorevoli esponenti. Componente originario degli Irakere, artefici di una potente miscela di jazz e musica cubana, Sandoval ha più volte collaborato con un illustre collega di strumento quale Dizzy Gillespie, notoriamente sensibile ai ritmi latini. Così come faceva il grande Dizzy, nella cui United Nation Orchestra ha militato per tre anni, Sandoval suona la tromba con inarrivabile maestria, raggiungendo altezze di registro vertiginose, e per queste sue non comuni qualità strumentali è assurto a meritata celebrità. Tra le molte altre collaborazioni si ricordano quelle con Woody Herman, Herbie Hancock, Billy Cobham e Stan Getz. Ha inoltre partecipato alla realizzazione delle colonne sonore dei film “Havana” e “Mambo Kings”. Lasciata Cuba nel 1990 alla volta degli Stati Uniti, Sandoval è stato chiamato come solista anche da prestigiose istituzioni classiche come le orchestre sinfoniche di Londra e Leningrado. Segno che il suo virtuosismo non conosce confini. Venerdì 5 maggio ** ATTENZIONE!! CONCERTO ANNULLATO ** A ottantadue anni portati senza sentirne minimamente il peso, Charlie Mariano continua a stupire per la naturalezza con cui affronta imprese musicali sempre nuove e sorprendenti. Pilastro negli anni Cinquanta dell’orchestra di Stan Kenton prima e del gruppo del batterista Shelly Manne poi, successivamente coinvolto da Charles Mingus in uno dei suoi massimi capolavori, The Black Saint And The Sinner Lady, Charlie Mariano è uno dei jazzisti più aperti alle musiche del mondo: per anni ha soggiornato in Oriente, dove ha studiato le culture locali e strumenti tradizionali come il nagaswaran, collaborando poi con l’ensemble indiano Karnataka College of Percussion e con il libanese Rabih Abou-Khalil, specialista dell’oud. Unione felice è pure quella tra il sassofonista originario di Boston e Quique Sinesi, virtuoso della chitarra spagnola a sette corde e del charango, le cui frequentazioni jazzistiche includono anche Enrico Rava e Joe Lovano. Collaborazione, questa tra Mariano e il musicista argentino, varata nel 1999 e suggellata dall’ottimo album Tango Para Charlie della Enja. Sabato 6 maggio Dall’inizio degli anni Novanta, Sabina Meyer è impegnata nell’ambito della sperimentazione sonora a cavallo tra improvvisazione radicale, musica elettroacustica e composizione di derivazione classico-contemporanea. Tutto ciò l’ha portata a collaborare con musicisti di estrazione molto varia: da Alvin Curran a Mike Cooper, da Tristan Honsinger a Paul Lovens, da Marco Dalpane a Walter Prati, da Eugenio Colombo a Fabrizio Spera. Il suo repertorio spazia dalla musica ebraica alla canzone brechtiana, da Erik Satie a John Cage e Giacinto Scelsi. È attiva anche sul fronte della poesia sonora e compone canzoni su testi poetici di autrici contemporanee. “Cruelly Coy” è una solo performance nella quale Sabina Meyer mette in campo tutte le proprie risorse espressive mescolando materiali di varia provenienza, in un confronto aperto fra composizione e improvvisazione che prevede anche l’esecuzione di brani di Luciano Berio (“Sequenza III”) e John Cage (“Aria”). Domenica 7 maggio Jimi Hendrix e il jazz: storia di un’attrazione fatale, reciproca, sin da quando il geniale chitarrista era ancora in vita. Molti sono difatti i punti di contatto tra l’universo sonoro del visionario, lungimirante musicista di Seattle e la lingua del jazz nelle sue espressioni più innovative, aperte agli “altri” suoni. E proprio la musica di Hendrix è il filo conduttore dell’ultimo progetto, già documentato su disco per la Justin Time, del World Saxophone Quartet, uno dei più longevi quartetti di sassofoni (è stato fondato ufficialmente nel lontano 1977) che da sempre si muove in modo personale all’interno dell’ampio bacino delle musiche nere. Da “Hey Joe” a “The Wind Cries Mary”, da “Little Wing” a “If 6 Was 9”, da “Foxy Lady” a “Machine Gun”, da “Hear My Train A Comin’” a “Freedom”, il WSQ ripercorre praticamente tutto l’itinerario artistico hendrixiano, avvalendosi del contributo di affidabili compagni di avventura quali sono il trombonista Craig Harris, il bassista elettrico Jamaaladeen Tacuma (già componente dei Prime Time di Ornette Coleman) e il batterista Lee Pearson. Mercoledì 10 maggio Inedito trio che schiera una delle icone del jazz anni Cinquanta e due dei più talentuosi esponenti delle ultime generazioni di jazzmen d’oltre Atlantico. Settantotto anni compiuti lo scorso 13 ottobre, Lee Konitz è stato tra i principali artefici del cool jazz, collaborando con il pianista Lennie Tristano, di cui il sassofonista di Chicago è considerato uno dei più autorevoli eredi, e con Miles Davis, assieme al quale ha realizzato un album epocale come The Birth of The Cool. In seguito il percorso artistico di Lee Konitz sarà contrassegnato da innumerevoli collaborazioni, le più significative delle quali rimangono quelle con il sassofonista Warne Marsh, altro partner di Tristano, con le big band di Stan Kenton e Gil Evans, con il pianista francese Martial Solal. Più recenti sono i sodalizi con Paul Motian, Charlie Haden e Brad Mehldau, oltre che con due tra i pianisti italiani di maggior valore, Franco D’Andrea ed Enrico Pieranunzi. E in tutti i contesti in cui si è prodotto nell’arco della sua lunga carriera, Konitz è sempre riuscito a lasciare la propria impronta, grazie ad una voce strumentale di rara eleganza, a volte quasi eterea, riconoscibilissima, unica. Venerdì 12 maggio Sabato 13 maggio Domenica 14 maggio L’amore per il jazz trasmesso dal padre, anch’egli trombonista, gli studi in conservatorio, ultimati col massimo dei voti, la partenza per la Germania, dove è rimasto per qualche tempo, la partecipazione a variegate esperienze musicali e le prime incisioni che ne hanno messo in risalto il non comune talento: sono queste, in sintesi, le tappe che hanno permesso a Gianluca Petrella di assurgere progressivamente a meritata fama. Dopo aver suonato nei gruppi di Roberto Ottaviano e Roberto Gatto, oltre che nell’Orchestre National de Jazz sotto la direzione di Paolo Damiani, Petrella fa oggi parte in pianta stabile del quintetto di Enrico Rava e, dopo aver registrato il suo primo album come leader per una piccola etichetta, è approdato allo storico marchio Blue Note, per il quale è da poco uscito Indigo 4. A ciò va aggiunta la vittoria, a pari merito con Franco D’Andrea, conseguita nel “Top Jazz 2005” di Musica Jazz, come miglior musicista italiano dell’anno. La “carta bianca” che Crossroads 2006 gli affida è dunque più che motivata. Nell'arco di tre intense giornate, Petrella avrà l'opportunità di prodursi in contesti differenti, dal duo con Franco D'Andrea al quartetto Indigo, dal Bread & Tomato Trio, all’incontro con la voce di Giovanni Lindo Ferretti, fino ad un progetto speciale con organico orchestrale, ospite John De Leo: una sfida che il musicista pugliese saprà sicuramente vincere, in virtù di quella versatilità che è una delle tante frecce di cui dispone il suo arco. Domenica 14 maggio Il vecchio leone del free continua a ruggire, in memoria di antiche, furiose battaglie musicali: Archie Shepp è uno dei simboli di quella tumultuosa e vivacissima stagione creativa, e le sue numerose incisioni degli anni Sessanta sono tra i più intensi documenti sonori del periodo. Dischi come Four For Trane, sentito omaggio a John Coltrane quando questi era ancora in vita, Fire Music, Mama Too Tight, The Way Ahead e Blasé, solo per ricordare i più importanti, racchiudono una musica che è anche un urlo di libertà lanciato contro tutto e tutti. E non vanno neppure dimenticate le cruciali collaborazioni con altri santoni della new thing come Cecil Taylor, Bill Dixon e il travolgente Coltrane di Ascension. Mito a parte, Shepp è uno dei sassofonisti che più di altri ha saputo sintetizzare la storia del suo strumento, nel segno del connubio fra tradizione e contemporaneità, recuperando anche i più veraci profumi del blues. Da anni si cimenta anche al sax soprano e come appassionato vocalist, ma la sua specialità resta il tenore, dal quale trae tuttora una sonorità personalissima, inimitabile, che l’incedere del tempo non è riuscito a scalfire. Mercoledì 17 maggio Aki Takase è originaria della terra del Sol Levante, ma da tempo si è stabilita in Germania, dopo aver vissuto negli Stati Uniti, dove ha avuto modo di mettersi in luce a fianco di musicisti di diversa impronta stilistica come Joe Henderson, Dave Liebman e John Zorn. Approdata quindi nel Vecchio Continente, ha prima stretto un proficuo sodalizio con la vocalist portoghese Maria João e poi si è unita a musicisti dalla fervida immaginazione improvvisativa, l’olandese Han Bennink su tutti. Negli ultimi anni la pianista nipponica si è dedicata alla rilettura della tradizione del jazz da una prospettiva personalissima: dopo un primo lavoro dedicato a W.C. Handy, è quindi venuto il turno di Fats Waller, di cui Aki Takase ha recuperato anche il lato più spettacolare e ironico. Non a caso in questo nuovo progetto (testimoniato dal bel CD della Enja) sono stati coinvolti un personaggio istrionico come l’americano Eugene Chadbourne e un batterista tutt’altro che convenzionale come Paul Lovens, che, assieme alla leader, al trombettista Thomas Heberer e allo specialista del clarinetto basso Rudi Mahall, riconsegnano la musica di Fats Waller in una veste rispettosa ma nel contempo decisamente insolita. Venerdì 19 maggio Venerdì 19 maggio Musa del free jazz, quando era amica di Albert Ayler e moglie del contrabbassista Gary Peacock, sperimentatrice di sonorità elettroniche assieme a Paul Bley, infine autrice e interprete di canzoni dai rivestimenti prossimi ora al jazz, ora al rock, ora alla musica da camera: Annette Peacock ha sempre cercato di evitare i luoghi comuni e ci è riuscita ogni volta, tant’è che non è facile trovare le parole per descrivere in modo appropriato il suo composito, sfuggente mondo espressivo. Dagli anni Sessanta in avanti ha collezionato disparate esperienze artistiche, associandosi ad altre carismatiche personalità, diversissime tra loro, come Timothy Leary, Charles Mingus, Allen Ginsberg, Leroy Jones, Robert Moog, Karlheinz Stockhausen, Salvador Dalì, David Bowie, Robert Wyatt e Brian Eno. L’album più recente di Annette Peacock risale al 2000, per la ECM: An Acrobat’s Heart, seducente, bellissima raccolta di brani per voce, pianoforte e quartetto d’archi. Tre anni prima, la stessa casa tedesca aveva pubblicato, a nome del trio formato da Marilyn Crispell, Gary Peacock e Paul Motian, Nothing Ever Was, Anyway, splendido omaggio ad una compositrice sensibile e arguta quale Annette Peacock è da sempre. Sabato 20 maggio È la nuova star del pianoforte jazz, ultimo rampollo di quella genia di pianisti che ha in Bill Evans e Paul Bley i capostipiti e in Keith Jarrett, Herbie Hancock e Chick Corea gli esponenti più acclamati. Nato a Jacksonville, in Florida, nel 1970, Brad Mehldau è assurto nel giro di poco tempo, dopo il suo trasferimento a New York verso la fine degli anni Ottanta, ai massimi vertici della scena musicale internazionale. Dal 1995, anno della costituzione del trio con Larry Grenadier e Jorge Rossy, Mehldau ha licenziato una nutrita serie di album, che ne hanno messo pienamente in luce l’eccezionale talento. In curriculum ha anche importanti collaborazioni con Lee Konitz, Charlie Haden, Wayne Shorter, John Scofield e Charles Lloyd. Mehldau ha coltivato in questi anni anche il delicato ma fertile terreno del piano solo, come attestano i due album Elegiac Cycle e Live In Tokyo. Ed è proprio nella veste di performer solitario che Mehldau si propone al pubblico di Crossroads: occasione ideale per apprezzare l’eleganza di tocco di un musicista nel cui bagaglio espressivo convivono riferimenti alla tradizione pianistica del jazz come al concertismo classico.
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